Se di tagli si muore chi di noi si salverà?

 

  Se di tagli si muore chi di noi si salverà?
di Gianfranco, Ragona , Presidente dell’Unione Culturale “Franco Antonicelli”
(pubblicato su Repubblica, Edizione di Torino, il 21 Ottobre 2011).
 
Alla stessa stregua di altre realtà culturali, che sono vivee che vivacizzano la città, anche l’ Unione Culturale assiste con preoccupazione al dibattito sui bilanci degli Enti pubblici, a causa dei tagli prev…isti per la cultura. Scorrendo i dati pubblicati da “Repubblica” lo scorso 12 ottobre, ognuno potrà immaginare quale sia la differenza tra i bilanci di un’ associazione come la nostra (che sta ben al di sotto dei centomila euro annui), rispetto a quelli del Teatro Regio, o del Circolo dei Lettori. BENE, la discrepanza è tale per cui – e propongo un’ ipotesi esemplificativa – un taglio di 20 mila euro, cifra risibile diranno in molti, per realtà piccole come la nostra può significare la differenza tra la vita e la morte. No, non esagero: stiamo parlando senza scherzi di vita o di morte, non di una riduzione delle attività, di un Rigoletto in meno, di un’ ulteriore compressione salariale per i funzionari che lavorano con passione per meno di mille euro al mese. Eppure, con bilanci tanto esigui, noi e le altre associazioni come la nostra realizziamo centinaia di iniziative spesso, molto spesso, originali, magari difficili e – perché negarlo? – talvolta di nicchia: quanto è innovativo può essere anche spiazzante, dissonante, critico, e non può, se guarda al futuro, sempre piegarsi al gusto dominante qui e ora. Qualche volta sbagliamo, correggiamo, ma la vita culturale della nostra città, della nostra provincia, della nostra regione consiste anche di questa messe di attività: incontri, dibattiti, progetti, che non producono grandi eventi, ma rimangono un bene importante per tutti. Non chiediamo l’ elemosinae non vogliamo entrare nel gioco perverso del “si salvi chi può”. E comprendiamo bene che una qualsiasi nuova produzione del Teatro Stabile possa essere più rilevante, avere un maggiore “impatto”, di un ciclo d’ incontri, ad esempio, sulle trasformazioni urbane che hanno modificato le vite di centinaia di cittadini torinesi lungo la Spina 3. Tra i piccoli, però, è alto il rischio della chiusura: archivi depositari di patrimoni inestimabili; emeroteche preziose, specialistiche, ma capaci di offrirea tutti la possibilità di accesso alle discussioni più recenti; piccoli teatri capaci di sperimentare, non solo di ripetere l’ ovvio; case della musica capaci di scoprire nuovi talenti, e così via. I decisori pubblici hanno avanzato alcuni progetti per affrontare la crisi: in primo luogo si chiede ai privati di sponsorizzare la sopravvivenza della cultura. Solo, mi domando, quale cultura si può sponsorizzare? Quale cultura “conviene”, stando ai legittimi criteri di redditività aziendale, cui uno sponsor è costretto ad attenersi? Forse si possono ipotizzare anche altre soluzioni: ammettendo che i privati finanzino i grandi eventi, un modo di fare cultura che noi non disprezziamo, ma che non è l’ unica politica culturale possibile, allora che le istituzioni pubbliche proteggano quella rete di associazionismo, che forse non fa i sold out e i grandi titoli, ma è parte integrante di una “democrazia culturale” diffusa e pluralista.
 
 
 

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