Lavoro culturale 1

Lavoro culturale. Cosa si accende nella testa, nei ricordi o nelle fantasie, di chi sente oggi pronunciare una dopo l’altra queste due parole? Per i diversamente giovani, probabilmente, una lontana memoria di roba morta e sepolta: molto impegnata, novecentesca e velleitaria, decisamente pallosa e di sinistra. Per i giovani realmente esistenti, invece, è probabile che già il semplice accostamento dei due termini– “lavoro” e “cultura” – suoni del tutto improbabile, strambo per non dire alieno. Cosa possono infatti avere in comune il lavoro, la fatica e l’orgoglio che non ci sono più – lo stipendio, lo stage, il volontariato, il servizio civile e la disoccupazione – con la cultura: le file ai festival o ai saloni con l’occhialino e il tatuaggio giusto, il divertimento e la distinzione di massa più o meno low cost? Nulla, appunto, se si mantengono occhi e meningi al livello dell’apparenza e dell’ideologia oggi in vigore: il consumo o, per chi preferisce l’eufemismo, la fruizione diffusa. Per chi esce una sera a sentire una conferenza o si fionda un week end a vedersi una mostra, la differenza, in fondo, deve stare solo nel prezzo: da gratis a un occhio della testa. Ma di lavoro, proprio o altrui, in questa esplosione coltissima dello sfruttamento del tempo libero, non si deve percepire nemmeno la traccia.

Di lavoro culturale, invece, vive – soprattutto nella fabbrica di eventi a mezzo di eventi in cui si è felicemente trasformata Torino – un sacco di gente della nostra città. Gente sospettabile: assessori, funzionari, fondazioni, amministrazioni, enti, associazioni, giornalisti, leccaculi, proprietari di hotel e ristoranti, i padroni e gli schiavi della movida. Ma anche insospettabile: insegnanti, educatori, scrittori, attori, tecnici, recensori, blogger, studenti, artisti e mille altre forme e stili di vita stravagante e precaria, apocalittica e integrata.

Al loro lavoro – capitale – e a un martire del loro calendario – Luciano Bianciardi, schiantato dal capitale – l’UC dedica idealmente quest’anno i suoi lavori. Che la festa – rigorosamente indiana – cominci!

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