Città

Raffaele Radicioni

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Raffaele Radicioni, per tutti Raffo, nasce a Milano il 14 maggio 1933.

Nel 1959 si laurea al Politecnico di Torino e  tra il 1959 ed il 1960 fonda il Collettivo di Architettura di Torino (CoAr) nel quale svolge la sua attività professionale prevalentemente in campo urbanistico occupandosi, tra gli altri del PRG di Ivrea, Collegno, Settimo Torinese.

Nel Collettivo condivide attività ed impegno politico con Pier Giorgio Lucco Borlera, Ida Carpano, Luigi Rivalta, Alberto Reale, Fausto Amodei, Biagio Garzena e, poi, anche Carla Bodrato, Riccardo Sutto, Pino Chiezzi, Piergiorgio Tosoni.
Esponente del PCI torinese, tra il 1975 ed il 1985 è Assessore all’Urbanistica della Città di Torino nelle giunte “Novelli” interrompendo, in quel periodo l’attività professionale.
Come Assessore imposta il nuovo Piano Regolatore Generale ai sensi della nuova Legge Urbanistica Regionale (la LUR 56/1977, cosiddeta Legge Astengo).
Nel gennaio 1985 proprio per impedire l’approvazione di quel piano regolatore viene fatta cadere l’ultima giunta “Novelli” .
Con il pentapartito si avvia una diversa impostazione del PRG rispetto al “Piano Radicioni”, che sarà poi adottato definitivamente dalla Giunta Castellani ed infine approvato dalla Regione nel 1995.
A partire dal 1985 Radicioni torna all’attività professionale nel Collettivo di Architettura lavorando, tra l’altro, per il Piano Regolatore Generale di Rivalta di Torino nei primi anni ’90 (con Lucco Borlera ed Ognibene), per il Piano Regolatore Generale di Venaria Reale tra il 1995 ed il 2005 (con Flavia Bianchi e Claudio Malacrino), per gli studi propedeutici al Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino tra il 2002 ed il 2007 (con Lucco Borlera, Carla Bodrato, Bianchi e Malacrino).
Negli stessi anni partecipa alle attività di ricerca e di impegno sociale e politico per una diversa politica urbanistica con i compagni di Rifondazione e dei Comunisti Italiani, in un sodalizio con Pino Chiezzi consigliere regionale, ma anche con Legambiente Piemonte e Val d’Aosta in un sodalizio continuativo di attività con Flavia Bianchi responsabile urbanistica dell’Associazione; con Italia Nostra accettando sempre i confronti promossi da Maria Teresa Roli; promuovendo dal 2009 con Manfredo Montagnana, Presidente  dell’Unione Culturale di Torino e con i colleghi ed amici Lucco Borlera e Claudio Malacrino la nascita del Gruppo Territorio dell’Unione Culturale.

Mobilità sostenibile, partecipazione e città attiva

(28 novembre 2017)

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La Città Attiva. Corpo, salute e città pubblica
L’intervento intende proporre una riflessione sui problemi dell’urbanizzazione e della sedentarietà proponendo l’approccio della “città attiva” in cui si intrecciano le esigenze urbane di vivibilità, estetica e funzionalità.
La “città attiva” accomuna politiche urbanistiche, educative, pratiche del tempo libero, esigenze e aspettative sociali e culturali, mobilità sostenibile, promozione dell’attività motoria e delle pratiche sportive, condivisione degli spazi pubblici come luoghi di opportunità e di controllo dei conflitti.
Sul piano urbanistico, le relazioni tra gli ambienti urbani e le persone, le pratiche sociali e culturali del camminare in una prospettiva storica, la promiscuità e la riformabilità delle strade, la frammentazione e le
connessioni dello spazio pubblico, assumono un valore e interesse strutturale.
Il tema dello spazio pubblico e della sua riappropriazione sociale, costituisce pertanto una riflessione centrale che non può non riguardare il mutamento delle forme della città e dei tipi di spazi che si riconoscono e si classificano come luoghi pubblici, così come il mutamento di funzione sociale svolta dalla strada nella storia recente. Tale mutazione è rintracciabile nel passaggio tra Otto e Novecento, periodo nel quale il tema della strada e degli spazi pubblici, formali e informali, è stato affrontato nel corso delle riflessioni e delle teorie
elaborate nell’ambito dell’urbanistica occidentale mentre alcune città, come ad esempio Parigi, sono divenute una sorta di paradigma dell’idea moderna di spazio pubblico e dell’urbanistica come soluzione ai mali della città industriale.
Le città contemporanee con la loro estensione territoriale e la loro frammentazione costituiscono un campo del quale vanno messi in evidenza tutti gli aspetti strutturali e critici tra i quali possiamo annoverare le
situazioni di conflitto nell’evoluzione del rapporto fra le aree urbane centrali, le periferie consolidate e le aree peri-urbane; la natura controversa e frammentata degli spazi urbani; la conflittualità generata dalla
necessita di far convivere diverse forme di mobilità urbana. Nella prospettiva di una città che offre a tutti i cittadini le medesime condizioni di qualità e vivibilità, proporre il tema della “Città attiva”, come uno dei perni di un nuovo paradigma urbanistico, significa prefigurare modalità e forme diverse di uso dello spazio urbano, incentrate su di una riappropriazione sociale e culturale degli spazi pubblici.

Romeo Farinella     slides

Ri-Vista

La mobilità e lo spazio della partecipazione
In città dove le strade sono pensate prioritariamente per cittadini-automobilisti non deve stupire il fatto che gli spostamenti a piedi e in bicicletta non solo siano inferiori a quelli in auto ma stentino ad aumentare in modo significativo. Il rapporto fra lo spazio stradale destinato a pedoni/ciclisti e quello destinato alle auto parla chiaro e manda un preciso messaggio ai cittadini, scoraggiati nella scelta di modalità di spostamento sostenibili anche dalla scarsa qualità di uno spazio pubblico che non invita a essere percorso e fruito.
Ma quanta consapevolezza c’è nelle scelte quotidiane di spostamento da parte dei cittadini? Quanto lo spazio pubblico del quotidiano è osservato criticamente o subito passivamente?
Capovolgere l’ottica (lo spazio pubblico come spazio per tutti a partire da pedoni e ciclisti) e ripensare le strade, le piazze, i giardini della città insieme ai cittadini è un processo che richiede una strategia a lungo termine ma può cominciare da subito cercando di risvegliare quelle sensibilità presenti nei territori e capaci di ridare energia ai quartieri attraverso microinterventi di rigenerazione, nell’ottica dell’agopuntura urbana.
La partecipazione informata dei cittadini diventa così lo strumento per sensibilizzare, creare consapevolezza e intervenire in modo condiviso, individuando punti di forza, elementi di interesse, elaborando proposte di
riuso sociale e/o microrigenerazione di alcuni spazi e favorendone la fruizione a piedi e in bicicletta.

Mario Bellinzona     slides

Governance e pianificazione urbana e regionale nei Paesi Bassi
Sin dal Medioevo, il controllo, la trasformazione e la protezione del territorio dalle forze della natura è stata la regola più che l’eccezione durate la storia dei Paesi Bassi. Con due terzi del territorio al di sotto del livello del mare, lo sforzo collettivo – in termini di risorse finanziarie, capitale umano e ingegno – è stato chiave per la sopravvivenza e lo sviluppo del paese. Non a caso il motto: “Dio ha creato il mondo, ma gli Olandesi hanno creato i Paesi Bassi”. Il secolare lavoro di recupero della terra dal mare e la sua salvaguardia non si è pertanto
esclusivamente tradotto in innovative tecniche di gestione territoriale e delle acque ma anche in modelli culturali di governance e pianificazione urbana e regionale capaci di mobilitare l’azione collettiva. In tale contesto, la figura del pianificatore non si riduce al tecnico esperto in costruzione e progettazione, ma anche nel manger di processi sociali e politici. Attingendo dalla esperienza sulla pianificazione e valutazione di politiche di trasporto nella Città Metropolitana di Amsterdam, la presentazione ambisce a fornire una
panoramica generale sull’evoluzione del modello di pianificazione olandese negli ultimi decenni, in ottica comparativa a quella Italiana, e con particolare rieferimento alla mobilità ciclabile. Il percorso inizia con l’inquadramento delle sfide contemporanee e gli scenari futuri per i Paesi Bassi. Questo è seguito dalla descrizione del sistema di pianificazione olandese con esempi pratici, legati alla mobilità ciclabile, di come questo sistema si traduce nella pratica. Infine, la discussione conclude con degli spunti di riflessione per l’Italia ed il proprio approccio alla pianificazione territoriale e dei trasporti.

Paolo Ruffino       slides

Le Città Metropolitane

(12 dicembre 2017)

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Le città Metropolitane sono concepite dalla legge Delrio (Legge n. 56 del 7 aprile 2014) come soggetto da cui partire per risollevare le sorti regionali e nazionali attraverso il Piano strategico, attribuendo, però, alle città metropolitane scarse risorse dirette e rimandando al Programma Operativo Nazionale “Città Metropolitane 2014 – 2020” (PON Metro) la reale possibilità di avvio del nuovo strumento di governo del territorio.
Il PON Metro è stato adottato dalla Commissione Europea e può contare su una dotazione finanziaria pari a oltre 892 milioni di euro: 588 milioni di risorse comunitarie (di cui 446 a valere sul FESR Fondo di Sviluppo Regionale e 142 a valere sul FSE Fondo Sociale Europeo), oltre a 304 milioni di cofinanziamento nazionale.
Lo scollamento tra la legge nazionale e le future risorse del PON Metro ha creato una situazione di attesa e difficoltà nella governance dei processi e della comunicazione intercomunale.
Per quel che concerne la Città Metropolitana di Torino, le Zone omogenee, individuate soltanto sulla carta, non sembrano interagire né con il centro, né tra di loro, né con gli ambiti di programmazione regionale.
Le esperienze estere, in questo senso, possono essere considerate buone pratiche da cui partire per superare l’attuale impasse della governance della città metropolitana.
Il caso olandese della Randstad, un sistema di piccole e medie città indipendenti, ma fortemente interconnesse rappresenta un caso esemplare nel contesto europeo: unire i vantaggi e la vivibilità associate alle piccole città, ai vantaggi economici e servizi/opportunità associate alle grande città sembrerebbe possibile.
Interviene Luca D’Acci, Head Urban Environment and Sustainability alla Erasmus University Rotterdam (IHS), e Honorary Research Fellow alla University of Birmingham.

Le regioni policentriche

La città puntiforme

Segue Tavola Rotonda con:
Marco Orlando, Direttore dell’ANCI del Piemonte
Francesca S. Rota, IRES Piemonte
Introduce e modera : Claudio Malacrino Urbanista

 

La trasformazione urbana in tempi di crisi.

Casi europei e statunitensi

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(16 gennaio 2018)

Nella Rust-Belt: progetti tra Pittsburgh e Detroit

Deindustrializzazione e dismissione hanno interessato città fortemente connotate da una legacy industriale sia in Europa che negli USA; tra i casi americani, Pittsburgh e Detroit sono emblematici di una crisi urbana che accomuna le città della Rust Belt, ma che oggi dà importanti segnali di speranza per un suo superamento. Pittsburgh, grande capitale mondiale dell’acciaio, ha subito un declino industriale culminato negli anni ’80, con effetti devastanti sulla dimensione urbana. Qui un radicato partenariato tra pubblico, privato e fondazioni, con il supporto delle università locali (Carnegie Mellon e Pittsburgh University), ha dato vita a strategie progettuali che hanno permesso alla città di riciclarsi, promuovendo nuove forme di produzione innovative. Detroit è la più conosciuta icona della città post industriale, nella sua manifestazione estrema, evidenziata da una drastica e radicale riduzione della popolazione, con un implicito abbandono di interi quartieri e dei loro edifici. La città, oggetto di una retorica letteraria e iconografica importante, solo negli ultimi anni (dopo il fallimento del 2013 e il successivo cambio di amministrazione) è luogo di una serie di progetti che sono i primi segni di un cambiamento: riuso e nuova edificazione si avvicendano nel tentativo di una “parziale ricostruzione” di un’urbanità sfilacciata. Progetti con diversi gradienti di intervento e scale, additivi e adattivi, contribuiscono al superamento di uno stato di crisi fortemente radicato e spazialmente connotato.

Roberta Ingaramo

Nella rust belt, progetti tra Pittsburgh e detroit 

 

La città contemporanea europea, dopo (?) il neoliberalismo e dopo (?) la crisi. Riflessioni e alcuni ipotesi di azioni

La città contemporanea europea si è contraddistinta nell’ultimo decennio per un profondo cambiamento delle strategie di intervento, nel governo delle trasformazioni sociali ed economiche e nelle azioni di rigenerazione dello spazio urbano. Molti dei tratti delle nuove politiche e dei progetti avanzati mostrano caratteri innovativi che in alcuni casi sembrano richiamarsi ad un approccio neoliberista, in altri sembrano le soluzioni più percorribili per risolvere inefficienze e problematiche che la riqualificazione urbana dei decenni precedenti avevano evidenziato. La crisi economica ha evidenziato limiti e ulteriori questioni, ha mostrato la retorica dei discorsi politici e la vera natura (speculativa, immobiliarista) di molti dei progetti che hanno affascinato il dibattito sulla città contemporanea. Ma la crisi soprattutto determina un differente contesto in cui sembrano venire a mancare attori determinanti (che siano pubblici o privati) nuovi fattori di difficoltà dei processi di rigenerazione e si registrano contraddittori impatti dei progetti di trasformazione. Alcuni casi europei suggeriscono la necessità di una svolta significativa delle politiche e dei progetti, che sappiano tener conto delle nuove condizioni generali, di una nuova domanda sociale e soprattutto elaborare anche strategie di rilancio delle narrazioni urbanistiche, indispensabili per assicurare credibilità e condivisione dei futuri progetti urbani.

Michelangelo Savino

La città contemporanea europea dopo il neoliberismo 

 

Le città europee nell’era postfordista: una prospettiva di politiche pubbliche per comprendere il nuovo liberalismo urbano

Sono passati più di trent’anni dal testo di Peterson ‘City limits’ (1981) e più di dieci dal fortunato saggio di Savitch e Kantor ‘Cities in the international marketplace’ (2005). Al netto dei reali margini di manovra delle élites urbane (ristretti secondo Peterson, non marginali secondo Savitch e Kantor), nell’ultimo decennio gli studi hanno dipinto un quadro monocromo dei modelli di sviluppo economico delle città, incentrato sulla figura della ‘città neoliberale’ (Pinson e Morel Journel 2017). Il dibattito recente ha però sofferto di due principali derive intellettuali: in primo luogo, un progressivo stiracchiamento del concetto nelle indagini empiriche, che ha prodotto una serie di narrazioni neoliberali che comprendono quasi l’intero spettro delle politiche urbane dell’ultimo secolo; in secondo luogo, un progressivo disinteresse verso l’epistemologia del concetto di neoliberalismo, che ha dato luogo a definizioni del neoliberalismo come di un processo immanente al nostro tempo e continuamente mutevole. La combinazione di queste due derive ha reso il concetto di neoliberalismo urbano un concetto-ombrello che, proprio perché tende ad essere onnicomprensivo, ha perso la capacità di spiegare. L’intervento ha lo scopo di tentare un passo indietro e stimolare il dibattito sul neoliberalismo urbano a partire da due principali questioni: una ricostruzione del concetto di neoliberalismo e del suo opposto attraverso i due principali paradigmi della politica economica dell’ultimo secolo e una ricostruzione delle principali famiglie di politiche di sviluppo economico a livello urbano riconducibili ai due diversi paradigmi.

Stefania Ravazzi

Città europee nell’era postfordista 

 

 

La partecipazione democratica e la gestione

dei conflitti territoriali nell’età dei populismi

(30 gennaio 2018)

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La rincorsa alla narrazione della ‘democrazia dal basso’ appare oggi la principale risposta alla drammatica crisi di risorse, al calo di consensi e alla rinascita della conflittualità sociale sul territorio.

L’ Amministrazione torinese si trova di fatto di fronte al dilemma se cavalcare i marosi a suon di slogan populisti o tentare di ri-fondare un reale rapporto con i cittadini. Appare sempre più necessario ripartire dai conflitti reali e ‘sentiti’ per  costruire un nuovo progetto di città attraverso un puntuale ripensamento e una riorganizzazione delle modalità di partecipazione. Occorre sviluppare un attento lavoro di ricognizione relativo a tutti gli aspetti che riguardano la qualità della vita e il ‘diritto alla città’ come bene comune, con l’intenzione esplicita di giungere ad una graduale realizzazione di interventi condivisi, anche piccoli, ma inseriti con coerenza in un progetto più ampio, in base alle risorse reperibili.

Questo comporta anche una riorganizzazione della macchina comunale decentrata, individuando spazi  adeguati all’interno delle troppo eterogenee e ampie Circoscrizioni e dirottando risorse culturali e persone allo sviluppo della partecipazione effettiva. Si tratta di un lavoro in gran parte da costruire e non rinviabile, coerentemente con il promesso programma pentastellato di ‘città policentrica’.

Ezio Boero (Comitato spontaneo di cittadini Dora Spina Tre) parlerà dei Beni Comuni e della riqualificazione attesa e non realizzata della Spina 3

Sergio Dellavecchia (NoZoom – Parco Michelotti) discuterà il tema della partecipazione dei cittadini alle decisioni e alle analisi dei problemi

Simonetta Chierici (No Degenerazione Movida) porterà l’attenzione sulla inefficacia delle politiche amministrative per la soluzione del problema.

A partire da queste criticità risponderà per l’ Amministrazione l’Assessore Marco Giusta.

Discussants

Sergio Guercio (urbanista), Silvano Belligni (politologo)

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Il ruolo del Sistema del Verde

nell’attuale revisione del PRG. 

Quale futuro per i parchi urbani e metropolitani, per le aree agricole periurbane ?

(20 Marzo 2018)

Nell’attuale fase di revisione del Piano Regolatore, riemergono temi già oggetto di vivace discussione al momento dell’adozione del PRG di Gregotti e Cagnardi nel 1993, soprattutto da parte del mondo ambientalista. Si ripropone anzitutto la necessità di inserire il sistema ambientale urbano all’interno della nuova e più congrua dimensione metropolitana, individuando le interazioni fra i diversi ecosistemi, le principali criticità nella rete dei corridoi ecologici. All’interno di questo paradigma si dovranno ricercare le nuove opportunità di sviluppo e affrontare i differenti problemi ancora aperti.

Quale futuro si prospetta per il complesso sistema di parchi fluviali e collinari della città? Quali criticità e quali interventi per il completamento del Progetto Torino Città d’Acque? Quali nuove forme di tutela per l’ambiente e il paesaggio collinare? Quale futuro per le aree agricole periurbane da poco censite e per l’agricoltura in città?

Con quali procedure e con quali nuove considerazioni si intende redigere un nuovo Piano del Verde ? Quali strategie si intende disporre per connettere il sistema del verde urbano con i corridoi ecologici e i “parchi agricoli” (es. aree Bor.Set.To) di valenza metropolitana? Quali modelli gestionali di riferimento si intendono adottare? Le associazioni agricole potranno cooperare a proposte di “rigenerazione urbana”?

 

Introducono e moderano:

Emilio Soave (Pronatura) Maria Teresa Roli (Italia Nostra)

Intervengono:

Guido Montanari (Vicesindaco)

Paolo Miglietta (Grandi Opere del Verde)

Rosa Gilardi (Direzione Urbanistica)

Michele Mellano (Direttore Coldiretti Torino)