2017/2018: un anno di rivoluzioni

bunker revolution

“Rivoluzione” si dice di un cambiamento radicale e repentino, che in un lasso di tempo relativamente breve interviene a modificare uno stato di cose trasformandolo. A distanza di tempo gli storici indagano le continuità e rivedono le scansioni, ma non c’è dubbio che nella coscienza di chi attraversa un’epoca rivoluzionaria prevalga il senso della frattura e del rivolgimento.

Oggi esperienze di questo genere si danno nella nostra società per lo più come eventi subìti: si parla di “rivoluzione del lavoro” e di “rivoluzione tecnologica” che hanno stravolto e modificato in modo radicale le nostre società, imponendosi come un destino a cui non si può o non si riesce a resistere, certo da interpretare, a cui adattarsi o da modificare, ma che si compie al di sopra degli individui trascinandone le vite. Di rivoluzione agìta, di cambiamento progettato e auspicato, rischi assunti, entusiasmi e illusioni, si parla per lo più al passato in modo a volte celebrativo, a volte con ironia o cinismo.

Nell’anno 2017-2018 all’Unione Culturale proveremo a ragionare lungo il filo conduttore delle “rivoluzioni” e delle soggettività rivoluzionarie, incorniciando idealmente, tra il centenario dell’ottobre russo e il cinquantenario del maggio francese, altri nodi rivoluzionari (e anche controrivoluzionari): la chiusura dei manicomi in Italia, i movimenti del 1968, il superamento del binarismo di genere e i contraccolpi che ne derivano, le utopie artistiche e sociali, i movimenti di resistenza attuali in Honduras… E poiché il ragionamento sulle soggettività rivoluzionarie attraversa anche la contemporaneità, ad inaugurare il nostro anno “rivoluzionario” è stato il 10 ottobre 2017 ore 21 una riflessione sulle esperienze in corso nel Rojava.

L’Unione Culturale è uno spazio di pensiero non celebrativo, di confronto critico. In fondo, il modo migliore per ragionare di rivoluzione è provare a spostare lo sguardo, rovesciare il punto di vista, pensare l’alterità.

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