Il futuro della cultura a Torino

Pubblichiamo un intervento di Roberto Salerno, in risposta a due articoli apparsi su “Repubblica”.

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L’intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica” dal nostro presidente martedì scorso (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/19/la-politica-salva-grandi-eventi-ma-da.html?ref=search) è stata seguita da due articoli di Vera Schiavazzi corredati da una serie di domande retoriche che suscitano perplessità. La giornalista si è chiesta se “LA CITTÀ, e i suoi filoni di finanziamento pubblico, possono ancora permettersi una pluralità di voci, di sedi, di identità così vasta?” per rispondersi da sola, attraverso un’altra domanda retorica, con “O, invece, è necessaria una razionalizzazione drastica, dolorosa magari, che dia una casa comune all’eredità associativa, di ricerca e di conservazione che arriva dal Novecento?”
Quest’idea della cultura “novecentesca” è tornata anche nelle parole degli assessori alla cultura di Provincia e Comune di Torino (Perone e Braccialarghe) per dire che “nulla potrà più essere come prima”. Non solo la crisi dunque, ma proprio un’idea di “cultura” ormai superata. Da cosa e da chi ci sarebbe da chiedere, ma sono domande troppo semplici le cui risposte riposano nel grembo pensoso di amministratori che sanno come va il mondo e la cultura: tanto Circolo dei Lettori e Biennali democratiche e festival per intenderci e poco, anzi meglio: niente, cultura critica. Non è aria.
Da “Repubblica” poi non c’era da aspettarsi granché. Il quotidiano ha sposato in pieno l’idea dell’austerità, del risparmio, nei piani alti, figuriamoci in una giornalista locale alla quale la pluralità di voci sembra “così vasta”, che correrebbe persino il rischio di confonderla.
La giornalista del resto non nasconde certo ciò che pensa e da donna che sa stare al mondo non più novecentesco, sa che certe “sfumature di pensiero, e differenze, … rischiano di diventare un lusso”.
Perché tra noi, l’Istituto Gramsci, la Fondazione Firpo o il Centro Gobetti, tutto sommato che differenza c’è? La gente non capisce, figuriamoci ha già così tanti pensieri. Non è come nel ‘900 adesso le sfumature rischiano di diventare un lusso; forse lo sono già.
Servirà ricordare che se “i soldi non ci sono” non è perché ci sia stata chissà quale tragedia epocale, ma per motivi squisitamente politici. Non economici, si badi bene, ma politici. E le benemerite associazioni culturali cittadine, ridotte a non esagerare con le critiche pena l’ulteriore riduzione di finanziamenti, se non sono pienamente coinvolte (conniventi?) nella “Torino pirotecnica”, dovrebbero ricordare più frequentemente chi sono i responsabili della situazione che viviamo. Ma la devastazione cittadina ha colpito solo le finanze delle associazioni o è talmente penetrata nelle menti degli operatori culturali da spingerli a rinunciare a qualsiasi forma di critica? Domina la rassegnazione senza critica, senza identificazione dei responsabili. Ma se in questo momento una cosa dovrebbero fare le associazioni culturali è riprendere le fila di una critica politica, dura e aspra. Tuttavia siamo uomini di mondo, non ci metteremo mica a criticare chi forse lascerà cadere delle briciole, no? Ma se siamo ridotti a questo ha ragione Vera Schiavazzi: siamo un lusso.

 

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