Quali indirizzi di politica urbanistica per Torino?

Quali indirizzi di politica urbanistica per Torino?
Del Gruppo di studio “Città e Territorio” dell’Unione Culturale “Franco Antonicelli”
Torino, maggio 2012

 Invece di utilizzare «l’immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie – scrive Keynes – stiamo creando ghetti e bassifondi; e si ritiene che sia giusto così perché “fruttano” mentre – nell’imbecille linguaggio economicistico – la città delle meraviglie potrebbe “ipotecare il futuro”». Questa «regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo» (è ancora Keynes che parla). Il paesaggio, l’ambiente, il patrimonio culturale sono come il sole e le stelle: illuminano e condizionano la nostra vita, corpo e anima. Perciò hanno un ruolo così alto nella Costituzione, dove incarnano l’idea che ne è il cuore: il bene comune e l’utilità sociale, sovraordinati al profitto privato. Paesaggio, ambiente, patrimonio richiedono sapienza tecnica per essere tutelati: ma richiedono anche un’idea d’Italia, un’idea declinata al futuro.

 Salvatore Settis, in “La Repubblica”, 15/12/2011

Premessa
Dal novembre 2008, nell’ambito dell’Associazione Culturale Franco Antonicelli di Torino, un gruppo di studiosi composto da architetti, urbanisti, docenti universitari di varie discipline, responsabili di Associazioni ambientaliste e semplici cittadini, ha avviato un’articolata attività di ricerca e di dibattito sui temi della città e del territorio, con particolare riferimento alle dinamiche urbane recenti. L’attività si è sviluppata attraverso una discussione sistematica e l’organizzazione di quattro cicli di conferenze (a scansione annuale e con la partecipazione di un folto pubblico), i cui esiti saranno oggetto di una pubblicazione in corso di redazione. A seguito dell’insediamento  della nuova Amministrazione cittadina  il gruppo ha inteso raccogliere alcune riflessioni e proposte, in una prospettiva di confronto con il documento Politiche di sviluppo urbano. Prospettive, indirizzi, riflessioni predisposto dall’Assessore Ilda Curti e con l’intento di promuovere una pubblica discussione.

 

Elementi per un bilancio
Nel corso degli anni Ottanta, Torino ha vissuto una crisi epocale a seguito dei licenziamenti massicci alla Fiat e al ridimensionamento di una serie di attività produttive legate al ruolo storicamente trainante della grande industria automobilistica. Le Amministrazioni Castellani – Chiamparino (1993-2011) hanno tentato di guidare la trasformazione della città da one company town a possibile «città degli eventi, della cultura e della ricerca» avviando la riqualificazione di alcune parti del centro, realizzando il restauro di monumenti, l’apertura di musei e lo sviluppo di attività culturali e turistiche. Ma la vera trasformazione della città si è giocata con la modifica delle aree un tempo industriali in aree residenziali, terziarie e per servizi. In questo processo sono stati fondamentali l’approvazione del nuovo PRG (il progetto Gregotti-Cagnardi, 1995), l’assegnazione delle Olimpiadi invernali (2006), nonché la realizzazione di grandi opere infrastrutturali (passante ferroviario, nuova linea metropolitana). La conseguente imponente gestione urbanistica, condotta per circa 6 milioni di metri quadri e prevista per altrettanti, ha comportato la densificazione e la costruzione di nuove parti di città, con esiti prevalentemente di bassa qualità architettonica, urbana e ambientale, carenti di servizi pubblici, indifferenti alle valenze storico paesaggistiche e allo skyline consolidato, attraverso scelte condotte da una élite di governo –  invariata  da decenni – che non è stata in grado di condurre coerentemente processi democratici di partecipazione e di integrazione sociale.  

Questa politica urbanistica ha premiato i grandi proprietari delle aree e un ristretto numero di costruttori e di progettisti, svendendo diritti edificatori e aree pubbliche al fine di incamerare risorse per il funzionamento della macchina comunale, strangolata da un pesante debito (attualmente stimato tra i 3,5 e i 5 miliardi di Euro, comunque il più alto in Italia).

Alle origini di questo debito sono i tagli dei finanziamenti centrali e la difficile congiuntura economica, ma soprattutto le spese olimpiche (per opere di scarsa ricaduta sociale e per ripianare i debiti del TOROC) e la discutibile gestione della struttura comunale, con moltiplicazione di incarichi esterni, alte retribuzioni dirigenziali, investimenti arrischiati (ad esempio, i cosiddetti titoli «derivati»).

La politica urbanistica di Torino non è isolata, è stata attuata sullo sfondo di radicali mutamenti economici, politici, culturali, che hanno caratterizzato a livello nazionale e internazionale i decenni tra vecchio e nuovo millennio. Elemento centrale è stato l’accettazione acritica della cultura neoliberale, acquisita anche dai partiti della sinistra europea ed italiana, che si riverbera sulla città e il territorio attraverso alcuni elementi di fondo:

1. L’appropriazione privata della rendita urbana, quale componente privilegiata per la trasformazione delle città e del territorio, anche in conseguenza della nota Sentenza della Corte Costituzionale del 1980, che ha sancito la mancata separazione della proprietà dei suoli dal diritto di edificare o di trasformare gli immobili, mettendo in discussione il primato dell’interesse pubblico rispetto ai diritti di proprietà.

2. La tendenziale concentrazione degli investimenti a vantaggio dei centri urbani, individuati come luoghi privilegiati (se non unici) per la localizzazione delle attività di comando e di scambio di rilievo nazionale e internazionale, con promozione del settore terziario, quale sostituto delle attività produttive, decentrate nei paesi con minor costo del lavoro e massimizzazione dei rendimenti da capitale. 

3. L’insufficienza del governo del territorio a livello nazionale, regionale e provinciale, con   conseguente impotenza nel pianificare lo sviluppo economico e la mobilità, mentre la contraddittoria rivalutazione delle risorse locali si trasforma in contrasto fra le varie comunità, accentuando l’opposizione ad ogni tentativo generale di programmazione.

4. L’affermazione di una cultura del progetto urbano “per parti”, senza riguardo alle valenze storiche e sociali del contesto, nella convinzione dell’efficacia degli interventi imprenditoriali ritagliati sul breve periodo, dotati di concretezza e operatività, ma per loro natura prevalentemente indifferenti alla ricerca di qualità e di innovazione.

 

Costruire un progetto alternativo
Per fare fronte a queste dinamiche distruttive dell’interesse pubblico, per la costruzione di una città e di un territorio dei cittadini, della qualità della vita, dell’uguaglianza, della solidarietà e della partecipazione, appare necessario – con specifico riferimento al caso della città di Torino, ma nel quadro di un orizzonte culturale e politico più ampio – affrontare una serie di questioni nodali e urgenti:

1. Inserire la città in una politica di rilievo provinciale, regionale e nazionale di collaborazione economica e sociale, per la pianificazione del territorio e delle infrastrutture.
L’obiettivo è controllare la dispersione degli insediamenti che, incrementando la mobilità privata e lo spreco di risorse pubbliche, accentuano la congestione e l’inquinamento. La direzione è quella di creare una sola entità urbana, dai caratteri fortemente policentrici, come affermato – almeno in termini programmatici – anche dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino (PTCP2), approvato recentemente dalla Regione Piemonte. Il dibattito sulla Città Metropolitane (cui Torino aveva dedicato inutilmente un Assessorato e un Settore), dovrebbe essere ripreso in un’ottica di riequilibrio e di razionalizzazione del territorio.

 2. Invertire i processi di acquisizione privata delle rendite urbane.
Nella prospettiva (realizzabile mediante provvedimenti di rilievo nazionale, che la Città dovrebbe proporre e sostenere), di avocare alla collettività gli incrementi di valore dei suoli) è necessario controllare almeno la formazione delle rendite stesse, attraverso la trasformazione pianificata del territorio. Fino ad ora, infatti, le operazioni di valorizzazione del territorio sono derivate da interventi in infrastrutture (passante ferroviario, linea metropolitana 1 e previsione della linea 2), e da cambiamenti di destinazione d’uso con indici esagerati di edificabilità (Indice  Territoriale medio di 0,7 mq/mq fino a  2,1 mq/mq, da cui in ambiti specifici derivano Indici Fondiari  altissimi, di  oltre 5 mq SLP/mq SF, con conseguenti edifici a torre  e deficit di servizi) che premiano i proprietari delle aree e i grandi costruttori, determinando esiti di scarsa qualità architettonica e urbana (ad esempio le «Spine» ed in genere le «Zone Urbane di Trasformazione»).

3. Ridistribuire le attività di livello elevato.
E’ necessario sviluppare e localizzare il terziario più qualificato fuori dalle tradizionali località del centro e dei suoi dintorni. Ad esempio il progetto di linea 2 di Metropolitana, caratterizzato da un tracciato di scarsa utilità, è di sicuro effetto concentratore nei confronti della localizzazione delle attività e della popolazione. In alternativa pare utile richiamare l’iniziativa, abbozzata dal Comune di Torino nel 1998, con il «progetto per la formazione della “dorsale di interscambio” nel settore ovest della città… con funzioni di asse distributore attrezzato rispetto ai flussi di traffico privato diretti verso il centro della città, dotato di parcheggi di interscambio da mezzo individuale a mezzo collettivo».

4. Intervenire nel settore abitativo in relazione ai fabbisogni reali.
L’esuberanza dello stock abitativo inutilizzato (45.000-50.000 alloggi sfitti) contrasta con la lista di attesa di circa 10.000 famiglie per una casa popolare e con le continue iniziative immobiliari di nuove costruzioni. Nella prospettiva di abbandonare la logica di costruire per sostenere processi speculativi e finanziari, o per incamerare oneri di urbanizzazione e vendere aree destinate a servizi, appare urgente disincentivare nuove costruzioni e avviare la conversione della produzione edilizia verso il risanamento ambientale ed urbano, la messa in sicurezza, l’aggiornamento energetico e tecnologico degli edifici. Sono dunque necessarie politiche, anche fiscali, volte al riutilizzo e alla riqualificazione del patrimonio esistente, al rilancio del mercato degli affitti e di soluzioni abitative alternative (ad esempio cohousing). Strumento fondamentale è il censimento puntuale del patrimonio  immobiliare non utilizzato (cfr. www.salviamoilpaesaggio.it). Gli interventi di edilizia sociale devono essere pianificati con Provincia e Regione, garantendo in termini inequivocabili il contestuale potenziamento del corredo dei servizi collettivi, a partire dal sistema dei trasporti pubblici.

 5. Tutelare il suolo libero.
Lo «stop al consumo di suolo» è necessario per controllare l’uso di una risorsa non riproducibile. Non si tratta di una sorta di regola meccanica, ma deve far parte integrante della pianificazione territoriale. Sono in particolare da preservare le poche aree agricole periurbane superstiti e quelle in collina, sulle sponde dei fiumi, etc. (per es. sono da rifiutare la variante 222 sul territorio collinare, la 228 per Bertolla, la 176 Tecumseh ed ex Galileo Ferraris con i suoi 32.000 mq. di verde). Occorre fare valere per la città almeno quanto – sia pur debolmente – chiedono e impongono sia il PTCP2 sia il Piano Territoriale Regionale.  E’ inoltre inopportuno l’incremento delle densità all’interno del territorio edificato, a causa della scarsità dei servizi e della insufficiente portata del sistema stradale, specialmente nei settori centrali e semi centrali. 

 6.Tutelare e sviluppare la qualità ambientale.
Migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua, dell’ambiente, tutelare la biodiversità e i suoli naturali è una scelta che da un lato influisce direttamente sul benessere psicofisico dei cittadini, dall’altro si traduce in risparmi per la collettività. Elemento primario è il potenziamento delle aree verdi, da un lato attraverso la formazione e/o riqualificazione delle micro-zone verdi, di quartiere e dei parchi urbani di uso quotidiano, in stretto contatto con le abitazioni ed i luoghi di studio e di lavoro, volto a soddisfare soprattutto le esigenze della popolazione con ridotta mobilità (anziani, bambini); dall’altro, con la formazione e il potenziamento del sistema dei grandi spazi verdi di livello metropolitano per il riposo settimanale e per tempo libero stagionale. E’ necessario operare con Regione e Provincia per realizzare estese aree a verde collocate nel cuore della conurbazione di Torino (quali gli spazi liberi del Parco del Gerbido, la piana tuttora agricola fra Rivoli, Rivalta, Orbassano, Beinasco, Grugliasco, le connessioni da Torino alle colline moreniche tra Rivoli e Villarbasse, da Venaria Reale al versante Stupinigi-Candiolo). La continuità dei corridoi verdi e delle vie d’acqua, la valorizzazione dei contesti di pregio naturalistico, sono presenti da tempo in progetti («Torino città d’acque», «Corona Verde», «Anello verde») prevalentemente rimasti sulla carta. Piccoli interventi di connessione, ricucitura e difesa sarebbero possibili da subito utilizzando meglio le risorse (ad esempio evitando l’inutile cementificazione della pista ciclabile di Lungo Po Antonelli si potrebbe rendere accessibile un tratto della sponda destra del Po, ancora non percorribile).

 7. Sviluppare una mobilità sostenibile.
La riduzione dell’uso individuale dell’automobile, prima causa di inquinamento atmosferico e di rischio per i cittadini, è legata ad una nuova gestione del territorio, tuttavia alcuni interventi intermedi potrebbero essere messi in atto dall’Amministrazione, da subito, con costi limitati: moratoria nella costruzione di parcheggi nel centro urbano, attrattori di traffico (compreso il parcheggio della Gran Madre), estensione delle aree pedonali e a circolazione calmierata, non soltanto in aree centrali, sviluppo e collegamento a rete delle piste ciclabili, applicazione della legge sul mobility manager per le principali imprese pubbliche e private, per razionalizzare i movimenti dei propri dipendenti (soltanto Università e Politecnico portano alla mobilità quotidiana di più di 140.000 persone), potenziamento del trasporto pubblico e integrazione con il trasporto su ferro, bloccando inutili espansioni della rete autostradale e dando priorità al completamento delle stazioni del Passante Ferroviario  (Stazioni Stura, Rebaudengo, Dora e Zappata), senza demandare tali interventi, a basso costo e a  impatto nullo, alla realizzazione della nuova linea Torino-Lione (TAV).

 8. Moratoria alla trasformazione delle aree produttive dismesse e alla nascita dei grandi centri commerciali.
Le varianti approvate, o adottate, o ancora soltanto in gestazione, che la Giunta passata ha promosso, stanno ipotecando il futuro delle aree ancora produttive esistenti nella città. Occorre una moratoria e un ripensamento del futuro di Torino, che non può continuare a trasformarle in residenziali e commerciali, favorendo la chiusura e/o l’esodo delle ultime attività produttive e artigianali. Occorre una pausa e uno studio dell’attuale realtà economico-produttiva, con nuove coordinate. E’ necessario preservare e potenziare le attività produttive di quartiere e i “centri commerciali naturali”, consistenti nelle strade, non solo nelle aree centrali.

 9. Potenziare e riequilibrare i servizi pubblici.
Si dice che la quota di servizi prevista dal PRG è ormai sovradimensionata perché è diminuita la popolazione, ma va detto che molti sono “servizi virtuali” (come il verde privato della collina) e altri sono stati ridotti (cultura, assistenza, ecc.). Occorre una riflessione sulle nuove tipologie di servizi, sulla loro qualità e sui fabbisogni pregressi e attuali, espressi e non espressi, da analizzare quartiere per quartiere, riequilibrando l’offerta come elemento di giustizia sociale. 

10. Riqualificare il paesaggio, progettare la qualità urbana.
Frutto di sedimentazione storica, sintesi di memoria, di qualità ambientali e culturali, il paesaggio è una ricchezza di tutti, indisponibile, tutelato dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea (2000). Sono elementi di riferimento per la tutela e riqualificazione del paesaggio e per una buona qualità architettonica, sia nel disegno del nuovo, sia nella riqualificazione dell’antico:  la salvaguardia degli assi prospettici storici tra emergenze architettoniche (ad esempio la vista Rivoli-Superga); la conservazione dei coni visuali dalla città verso le montagne, verso la collina e verso il fiume; la continuazione e la tutela della griglia viaria e del tessuto urbano sedimentato; la limitazione delle altezze dei nuovi edifici in rapporto allo skyline urbano storico; la cura degli spazi pubblici e l’armonia tra architettura e strada, piazza, verde, ecc.

 

Quali strumenti di progetto e di controllo per una nuova politica urbana?

 Si è parlato di un nuovo «Piano di Sviluppo Urbano»: ma l’urbanistica rischia di essere sostituita da costosi business plan, pensati per attrarre investitori, ma lontani dai bisogni dei cittadini. È invece necessario avviare una revisione del PRG, ormai svuotato da quasi 300 varianti. È al contempo urgente affinare gli strumenti della pianificazione e del controllo del disegno urbano attraverso una riorganizzazione degli Uffici urbanistici ed edilizi, precisando e mettendo in relazione tra loro competenze e compiti della Commissione Igienico Edilizia, della Commissione Locale del paesaggio, della Soprintendenza, anche pensando ad un organismo di alto livello scientifico (Commissione della Qualità?) in grado di contribuire alla definizione e al controllo della qualità urbana. È  necessario dare vita ad un Urban Center che – come in tutte le grandi città del mondo –  abbia carattere di terzietà e si occupi di istruire e di sviluppare un dibattito democratico sulla città, non di celebrare scelte degli investitori o di contribuire alla progettazione senza avere la necessaria credibilità scientifica.

 

Per un vero processo partecipativo

«Partecipazione» è diventata un’espressione talmente comune e abusata da aver perso molto del suo reale significato, per diventare uno slogan sterile. Ne intendiamo dunque riaffermare i principi sostanziali, partendo dalla considerazione che il Comune di Torino non è finora riuscito a farsi protagonista di una pratica della partecipazione che soddisfi l’obiettivo, ineludibile, di integrare  la democrazia rappresentativa e la democrazia diretta. Non è con la governance che si può pensare di perseguire questa finalità, resa più che mai necessaria dall’inasprirsi della conflittualità sociale. E’ necessario che le organizzazioni politiche ed istituzionali si impegnino a riconnettere società istituita e società istituente, intesa nel suo continuo divenire.

I movimenti di cittadini organizzati dal basso per la difesa del territorio e dei “beni comuni” rappresentano appieno questa costante tensione di tipo  conflittuale e creativo, ed esigono un riconoscimento sostanziale di potere decisionale. Se il  progetto urbano, dimensione nella quale si esplica per eccellenza la pratica del cum-vivere, è facilmente individuabile come  terreno privilegiato di azione dell’homo civicus, affinché tale azione manifesti al meglio le sue potenzialità occorre che l’Amministrazione locale attivi tutti gli strumenti necessari a favorirla.

E’ necessario riconoscere un valore alle identità locali, fatte di storia, di relazioni sociali e di “saperi cittadini”,  la cui articolazione è stata oggetto di numerosi studi e che invece è stata  generalmente misconosciuta e talvolta avversata dai decisori politici torinesi. Tali culture partono dalla vita ordinaria degli abitanti e passano attraverso la normale facoltà di giudizio disinteressato (non del tipo cosiddetto NIMBY) per arrivare a comprendere varie forme di expertise, professionale, diffuso e di tipo contro-periziale.

I processi partecipativi producono conoscenza, e l’aspetto più importante è che lo fanno nel momento stesso e nella misura in cui producono il progetto.

Nei processi partecipativi è dunque presente una dimensione politica di natura democratica e anche una produzione sociale e diffusa di culture urbane. Questa produzione collettiva di conoscenza, che presenta elementi di complessità e di problematicità, rientra a pieno titolo tra i  “beni comuni” e deve confluire nel progetto urbano fin dall’inizio, con pari dignità (anche sul piano decisionale) dei saperi tecnici, anziché venire utilizzata strumentalmente a decisioni ormai prese.

 

Comunicazione e informazione   

La comunicazione ai cittadini, trasparente e completa, degli studi e delle ipotesi di trasformazione urbanistica del territorio, e dei dati relativi, è un aspetto fondamentale e da lungo tempo negletto nella nostra città. Così come avvenuto a livello regionale con la delibera programmatica e il recepimento delle relative osservazioni sulla legge urbanistica, allo stesso modo anche il Comune dovrebbe presentare proposte e sottoporle ad un reale dibattito pubblico.

E’ inammissibile che i cittadini sappiano a posteriori cosa gli uffici politici e urbanistici elaborano, decidono, concedono; che siano invitati a tardive conferenze pubbliche di presentazione dove eventuali dissensi o proposte alternative non vengono recepiti; che debbano fare domanda di accesso agli atti per avere i nomi dei progettisti e i dettagli di interventi resi pubblici in modo superficiale soltanto dai media o da rumours.

Alcuni strumenti possono essere immediatamente utilizzabili per affrontare il tema:

  1. Illustrazione pubblica e immissione in rete, puntuale e preliminare, dei progetti che vengono presentati dall’Amministrazione, siano essi Permessi di Costruire o Varianti Urbanistiche. Tutti i dati, le simulazioni e le rappresentazioni grafiche (realizzate non dai privati proponenti, ma dagli Uffici Tecnici del Comune) devono permettere di comprendere le trasformazioni previste e le eventuali alternative progettuali, affinché la partecipazione venga attivata fin dalle fasi preliminari, e non ex post.
  2. Definizione quantitativa dei traguardi e degli standard urbanistici inderogabili come primo obiettivo operativo.
  3. Utilizzo dei risultati del Censimento nazionale e dei dati della nuova tassa IMU come strumento per la pianificazione urbanistica attraverso la ricostruzione di un quadro preciso dell’intera situazione abitativa del Comune di Torino e degli altri comuni della Provincia e della Regione.

Ogni fase di un percorso di informazione e partecipazione serio deve fare ricorso a regole, metodi e pratiche ampiamente sperimentati e codificati, ma anche aperti alla specificità dei progetti e dei contesti. Di essi, come degli altri aspetti presentati succintamente in questo documento, siamo disponibili a dare conto in modo dettagliato, in un auspicabile proseguimento del dialogo con gli Assessorati competenti della Città.

 

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